Edward Hopper, un pittore e la materia del suo lavoro.

Dopo aver lungamente osservato e ammirato i dipinti di Hopper, sia attraverso riproduzioni stampate e digitali sia dal vivo solo ora forse riesco a far finalmente emergere una sensazione che da questi ricevevo e che covava sotto traccia. Mi accorgo adesso di qualcosa che forse ai molti appassionati di Hopper è già evidente da tempo. Si tratta delle due nature della sua pittura, antitetiche tra loro, una sostanziale differenza che ritengo legata essenzialmente all'utilizzo del medium pittorico. 

Quello che oggi mi sento di sostenere non senza una certa dose di convinzione è che l'Hopper acquarellista  ci parla di un mondo diverso da quello dell'Hopper pittore ad olio. I dipinti a olio di Hopper descrivono una realtà ferma, solida, essenzialmente immobile e lo è al punto da essere assimilabile alla pittura metafisica di De Chirico: grandi scenari vuoti, città disabitate, sulle quali l'unica presenza viva sembra essere la luce che si distende sulle forme, che le scalda, le percorre, le modella.

 

Ma la pittura di Hopper  è contrariamente a quella di De Chirico una pittura di paesaggio, mentre gli esterni di De Chirico sono paesaggi mentali, appaiono come spazi chiusi in cui è stata sottratta l'aria, scenari interiori forse, con una rappresentazione ferma e geometrica in cui le luci scavano solchi e le ombre baratri senza uscita. 

De Chirico

 

In Hopper invece l'aria si respira, è presente. La luce vibra e vive. L'uomo e la donna sono lontani, probabilmente nascosti, protetti nei loro rifugi, nei loro appartamenti, nei luoghi d'incontro, non ingombrano le strade con la loro presenza, non violano lo spazio esterno che, quasi come uno spazio sacro, è destinato ad essere abitato unicamente dalla luce. 

Ma poi Hopper infrange la barriera e passa al di là dei muri, entra nelle stanze, nei locali, negli uffici ed ecco le persone, quelle che stavano nascoste nelle loro vite, e sorprendentemente sono anch'esse ferme, immobilizzate in un gesto, composte in un atto meditativo, quasi eternizzate. Non si sente il pulsare della carne, il fluire della vita, paragonabili come sono a statuine di un presepe  metropolitano. La presenza umana non risolve il mistero, anzi lo accresce, ancora aria e luce dominano la scena, si spartiscono le zone e ritagliano gli spazi ma non s'ode suono, tutto vive immerso sotto una campana di vetro in un eterno presente bloccato per sempre. 

Ma in fondo ogni dipinto, e non solo di Hopper, di fatto blocca il tempo in un eterno presente, per cui le fibre dei legni e delle tele, i pigmenti disseccati, la materia reale di cui sono fatti testimonia eternamente il tocco dell'artista, la sua firma, il suo stesso passaggio nel mondo, una materia che grazie alla sapienza alchemica del pittore si  sublima nell'oggetto d'arte: è proprio quella, la stessa che viaggia nel tempo fino ad arrivare davanti ai nostri occhi.

 

Ma questo eterno presente, questa immensità spaziale in Hopper ha un nome preciso: America. America e infinito coincidono: l'America in Hopper è l'espressione stessa dell'assoluto immutabile e silenzioso, da abitare con discrezione, con reverenza. Le poche presenze umane sono in qualche modo punti di intralcio, interruzioni nel dominio dell'estensione. 

Fino a qui ho considerato al meglio delle mie possibilità l'universo rappresentato dalla sua pittura ad olio, se ora iniziamo a sfogliare i suoi acquarelli scopriamo una seconda natura del nostro.

  

In essi le presenze umane sono ancora più rare, rivelate spesso solo dalla raffigurazione di manufatti, tetti, case, barche, fari. Negli acquarelli l'America è quella degli spazi aperti, le città sono ormai lontane  e la sua pittura si rianima, riprende lo scorrere del tempo, il soffiare del vento, il trascolorare delle ore, tutto ritorna a fluire e mutare.  

Ed ecco il punto: è assai curioso notare che la composizione materiale del medium utilizzato abbia molo  che fare con questi due differenti registri espressivi, giocati per descrivere gli spazi urbani e quelli rurali:     

 

Il colore ad olio, sia come legante sia come diluente é denso, e quando si asciuga solidifica e si cristallizza, cosa che rende possibile la sovrapposizione di molte stesure. Caratteristica dei dipinti a olio se il fondo é ben preparato è che sono praticamente eterni, resistono all'acqua, alle variazioni di temperatura e non sbiadiscono alla luce del sole. In più é docile: dove lo posa il pennello il colore sta, non va a spasso per la tela, sta e resta. Per sempre.

Poteva Hopper scegliere altri mezzi dalla pittura ad olio per esprimere la vita negli spazi urbani, di squadrati e solidissimi palazzi, di muri tagliati dall'ombra, scenari muti e immobili e vite bloccate in un gesto: l'apertura di uno schedario d'ufficio, la lettura di un giornale? Neanche fossero impagliate o immerse in formaldeide ed esposte nelle bacheche di un museo di scienze naturali...ebbene se lasciate un vasetto di olio di lino aperto per qualche mese questo si solidifica fino a sembrare ambra.

 

All'opposto i watercolor o acquarelli, pigmenti diluiti con l'acqua sono trasparenti, brillanti: la diluizione leggera scorre sulla superficie del dipinto, e occorre acquisire una certa perizia per scendere a patti con questa fluida indocilità, ma quando, dopo lungo esercizio si entra in confidenza, ecco che i cieli si fanno più luminosi, mutevoli,  la campana di vetro quaggiù non c'è e si può respirare a pieni polmoni, aria! Luce! si sente la brezza del mare o il suono delle folate di vento sulle colline. Il tempo del giorno torna a scorrere e la luce a trascolorare, e sono momenti fragili e delicati, come lo é la pittura ad acqua che non é mai del tutto al riparo dal tempo, e basta un bicchiere inavvertitamente  rovesciato per rovinare inesorabilmente un capolavoro.  

 

Questo ci può forse suggerire che la materia non diviene mai davvero solo puro strumento e oggetto, se la si guarda bene ne si può cogliere un' intrinseca personalità fino al punto da presentarsi come uno dei soggetti della relazione che rende possibile l'arte. Scopriamo che a volte che il "legante" lega non solo il pigmento ma anche il pittore all'espressione di sè.