Francis Bacon, arte e destino.

Francis Bacon

 

L'estate del 1987 avevo deciso di visitare Amsterdam e dopo un paio di defezioni di possibili compagni di viaggio, decisi di  andarci da solo.

Aereo, Linate, Skipol, e poi Amsterdam: canali, ovunque biciclette, cielo d'argento e  pioggia. Ho resistito alle condizioni meteo avverse per qualche giorno, giusto il tempo di annusare l'aria, passeggiare un pò e visitare il Museo Van Gogh e poi mi sono detto basta, bella Amsterdam ma qua siamo in ottobre, così vado in un'agenzia e prendo il biglietto aereo per Londra che in linea d'aria é vicinissima.

 

A Londra era estate un giorno si e un giorno no, nei giorni no mi rifugiavo nei musei e nelle gallerie d'arte. Nei giorni si andavo ad asciugarmi al sole su una sdraio ad Hide Park, le stesse di legno e tela che si noleggiavano in lire anche a Riccione, trent'anni fa. 

Tate Gallery

 

Dato che tutti siete stati a Londra non vi annoio con le sue meraviglie museali, British, Victoria and Albert, National Gallery... e Tate che ho tenuto per ultima. Finita la visita mi accorsi che nelle ultime sale prima dell'uscita era allestita un'antologica dedicata  a Bacon, controllo il biglietto e con piacevole sorpresa scopro che la mostra é compresa nel prezzo che ho già pagato. (Non conoscendo Bacon facevo il difficile) Nessuna predisposizione quindi, solo curiosità, condita da una certa stanchezza fisica e da una certa saturazione mental/visiva per le tantissime opere già ammirate.

 

Mezz'ora dura la visita, ed è come essere entrato nella centrifuga di una lavatrice industriale. Ne esco stravolto, la stanchezza è scomparsa, le altre opere scomparse anche loro, non importano più. L'unica cosa che conta è che non mi sento più al sicuro, Bacon mi ha colpito, più o meno come un gancio nello stomaco.

 

Un grande faro arancione si è acceso e mi ha guidato attraverso la galleria delle sue opere come attraverso le quinte di un teatro in cerca dell'uscita, qua e là tra i materiali di scena, tra cavi e strutture tubolari  erano improvvisamente comparsi corpi informi avvinghiati, coppie di uomini intenti a lottare o ad amarsi (e ad amarsi), avevo incontrato irrigiditi papi urlanti, ero stato disorientato dai lineamenti di volti disfatti, aperti all'esplorazione della forma

Trittico

 

Ecco perchè Bacon è così celebrato, mi sono detto, non è un pasto facile da digerire, ma non si può far finta che non esista, no davvero, è comunque un pittore grandioso, tanto che ha reimpostato l'intero assetto del fare pittura.

 

Tanto per cominciare l'idea di costruire uno spazio di fronte al quale lo spettatore si trova collocato come al limitare della soglia di una stanza, spesso irradiata di un colore incandescente, una stanza senza pareti o riferimenti precisi, dove avviene qualcosa che non si può descrivere, dentro un enorme cubo in cui le parole si bruciano e l'unico autorizzato a dire è il pennello (o lo straccio) di Bacon.

Ma le strutture dentro il quadro sono celebrazioni dello spazio o cos'altro? E perché le urla lanciate da quelle bocche aperte non si possono udire, come assorbite da una scena posta fuori dal tempo?

 

Sintetizzando la mia esperienza di visitatore, potrei dire: un piccolo sforzo, un grande danno, una nuova conoscenza.

 

Tornato a Milano corro alla Hoepli, volevo saperne di più (per chi si stupisce ricordo che c'è stato un periodo in cui internet non esisteva), la caccia ha buon esito, trovo un libro intervista: La brutalità delle cose, Ed. quaderni Pasolini, 168 pagine, 32mila lire.

Con la mia preda in carniere cerco un posto sicuro per saziare la fame. Torno a casa, il mio confortevole e silenzioso piccolo bilocale.

Trittico

 

Mi immergo nella lettura. Vita e pittura sono intrecciate in una lotta carnale, proprio come le sue figure, così intersecate da essere fuse insieme, in una rotazione senza un punto di inizio o di fine.  Riemergo, urge prendere appunti:

 

La prima cosa che penso tra me e me è che Bacon ha preso la vita sul serio, e non è certo la serietà dell'assessore Guglielmo di Kierkegaard (che avevo appena letto)... dannatamente sul serio, sarebbe giusto dire. In fatto di sfide alla vita ti fa sentire un pivello. Più o meno come Van Gogh.   

Il libro è in forma di intervista: "9 conversazioni con David Sylvester"

Sylvester é amico di Bacon ed importante critico d'arte. Francis gli confida che si sente di appartenere alla tradizione classica.

 

Molto soddisfatto perché lo avevo intuito, proseguo e il racconto biografico prende una piega inattesa: Bacon è fortunato, fortunato al gioco intendo, tanto ci si é letteralmente guadagnato da vivere prima che la fama lo raggiungesse: alla roulette vince quasi sempre.  E' in rapporto costante col suo destino: giorno per giorno, lo sfida, ci si affida, lo intuisce, ci guadagna il necessario e va avanti; un bel giorno scopre Picasso.  

Picasso, Bacon

 

Così Inizia a dipingere e la disposizione è sempre la stessa: azzarda, scommette, vince.

Come può l'arte essere qui e la vita essere là? Tutto viaggia assieme, ed è una ricerca continua di punti di equilibrio fragilissimi, e un attento studio sui possibili rapporti con il caso: ogni azione tesa a distruggere le regole della pittura tradizionale fa allo stesso tempo nascere nuova forma e nuova tradizione in un incessante processo metabolico. La tradizione dev'essere per forza di cose un soggetto statico? Bacon la rimette in moto.

 

"l'immagine che cerco sta come il funambolo sulla corda tesa che separa la pittura figurativa da quella astratta"

e poi, attenti a quello che dice - continua:

"Il problema della pittura contemporanea: riuscirà a catturare il mistero della realtà solo se l'artista NON SA come farlo."

 

 

Con Bacon ci troviamo quindi in un territorio molto particolare e ben definito: accetta il fatto che la realtà sia qualcosa di misterioso, per cui  nulla é certo o assodato. 

La realtà, dicevo, è irrimediabilmente intrecciata al caso, alla fortuna e al destino, l'artista non è più quello che dipinge il cielo d'oro perché tutti lo pensano d'oro (idealizzandolo), ma dipinge quello che vede, solo quello che vede e solo nel momento in cui si mette a dipingere: per Bacon é qualcosa di mutevole, fatto di apparizioni trasversali e di ombre che combattono per divorare ogni luce e tutto questo scaturisce dal colpo di straccio, dal pennello o dalla spazzola imbevuta di colore.

 

Il corpo-Bacon si muove e produce segni e quei segni sono gli indizi che lui stesso coglie e completa generando ancora nuovi segni e indizi, entrando e uscendo dalle forme conosciute così che noto e ignoto si mettono nuovamente in rapporto e dialogano, e noi che ascoltiamo questa nuova lingua che nasce capiamo che non ci é estranea.

 

Conclusione: Bacon fa parlare il caso, e lo fa dopo aver messo fuori gioco la dimensione causale (data una causa ne consegue un effetto) e così la annulla e può dar voce al caos e...spavento, il caos per la prima volta parla.

E tu spettatore ignaro, credevi di vedere un quadro e ti trovi preso dentro a un gioco pericoloso. Improvvisamente intuisci che è una possibilità che ti sfiora, che ti riguarda e ti cammina accanto e basterebbe poco per iniziare il gioco: lanciare i dadi e sfidare la sorte.